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sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

venerdì 5 settembre 2014

La vita e l’infinito di Pedro De La Valle

Il viaggio dell’aurora che ha gli occhi della notte


Di Pierfranco Bruni

La poesia e il raccontare di Pedro De La Valle ha la metafora che intreccia il sogno con i dettagli di una memoria che raccontano vissuti. Uno scrivere nel quale il gioco del linguaggio ha la sua peculiare presenza tra l’alchimia e l’orizzonte di una sacralità che vive nel dubbio.

Ancora non ho vissuto l’alba/perché non so se io sono  l’alba/o è l’alba ad essere in me”.
Le ombre non hanno certezze/perché le ombre sono la percezione della maledizione./Se mi cammina accanto non ha senso./Devi camminarmi nell’anima”.
Un poeta che ha fatto perdere ogni traccia. 

Nato nel 1855 in Spagna. Giovane lascia la sua terra e si imbarca per i Mari del Sud. Approda prima in Cappadocia dove scrive il poemetto: “L’aurora ha gli occhi della notte”.
Pubblica il testo nel 1914. un percorrere tra la ricerca di capire la “follia” del linguaggio in poesia e la poesia che diventa “follia” e permette, però, di leggere la vita con gli occhi della notte.

Scrive testi su Novalis, su Poliziano, sulla poesia dei Sufi e soprattutto intreccia i suoi versi con i versi del “Cantico dei Cantici”. Due anni dopo raggiunge Tunisi.
Nel 1918 scrive: “Se il mare ha una sola onda”.
Un racconto lungo nel quale si racconta la storia di una nuvola che incontra un’aquila e stabiliscono di incontrarsi cercando sempre la stessa onda. Una volta trovata il loro dialogo si intavola sul concetto di Infinito e di Inferno.
Nello stesso anno scrive un breve saggio su “Le ricordanze” di Leopardi. Sostiene provocatoriamente che il Leopardi che ha vissuto il tempo nella vita e la vita nel tempo è quello che supera la visione dell’infinito per chiudere le bifore del senso della storia nelle ricordanze.
L’infinito non ha finito, ha sostenuto Pedro De La Valle, perché la vita dei popoli sono metafisicamente infiniti e trovano nel finito una giustificazione per lasciarsi vivere dall’inferno. Ma una volta compreso che l’infinito è anche fuco non vogliono più accettare l’Inferno e vagano come anime perse e tentano di guardarsi in uno specchio ma non riescono a specchiarsi perché lo specchio rispecchia soltanto lo specchio.
Un gioco di figure che si contrappongono come i versi della poesia “Sulle cime delle dita ho intrecciato foglie di vento”.
Non dirmi più parole perché le parole non esistono/nel tempo./Non dirmi più di fermare il sogno/il sogno è una notte/soltanto una notte./So che sulle cime delle dita il vento ha intrappolato le foglie/della morte./Solo la morte ha l’infinito”.
Credo che andrebbe riletto attraverso parametri culturali complessi. Resterà sempre lontano dalla ufficialità delle accademie perché Pedro De La Valle ha fatto una scelta.
Studioso del mondo sciamanico ha consacrato i suoi ultimi versi a questo linguaggio: “Se non ho/non voglio avere./Se decido di avere/al dio della Luna/affiderò il mio volo,/Ma io sono nato di mare/e di mare resterò/con il sale e le pietre della mia isola./Lasciate che il vento sia vento”.
Versi di una singolare bellezza. Ma Pedro De La Valle ha fatto della sua vita una icona di bellezza.

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