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sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

giovedì 9 aprile 2015

Raccontando l’Italia nel mondo con le parole della letteratura

Pur favur me regala cheste parole
Raccontando l’Italia nel mondo con le parole della letteratura


di Pierfranco Bruni
 

Se il tempo mi cammina dentro posso restare ad ascoltarlo? Ho camminato lungo i miei viaggi e ogni viaggio camminamento ha tracciato il suo segno. Siamo attraversati da segni e i segni ci testimoniano.  Ma cosa sono i viaggi? I viaggi sono incontri e la vita si vive tra gli incontri. Forse parlarsi è un dovere. O un diritto. Ma è solo la capacità di comunicare o forse il segno di un affetto che va oltre ogni barriera culturale.
Parlarsi con la poesia. Con i versi dei poeti italiani che recitano l’amore e le contraddizioni, il senso del tempo e la tragica resistenza degli incontri. Certo che la poesia è linguaggio universale. Altrimenti che senso avrebbero i nostri viaggi tra città e luoghi che sembrano insondabili.
C’è una città che non dimentico. Non mi lascia con le sue immagini, il suo immaginario e gli incontri. Sono stato a Santo Domingo, nella Repubblica Domenicana, in visita istituzionale e per i “soliti” incontri che permettono comunque di creare legami e di capire il rapporto tra la lingua italiano e le  lingue, tra la cultura italiana  e le culture altre.
Un fascino dell’esotico e di una estate che non smette di essere mai mare, sabbia, palme, piante di banane e musica. Echi che lasciano un segno anche quando si è lontani. La musica scava il vento tra gli Oceani e i profumi andalusi.

La musica delle donne che ballano scalze sulla sabbia o su un tappeto di bicchieri e riportano alla erosione delle monotonie perché qui la donna è bellezza ed eros. Un fascino che cattura. Hanno bisogno di capire e noi abbiamo bisogno di osservare, di entrare in un mondo che ci sembra di conoscere ma così non è.
Quanta italianità tra le strade di Santo Domingo. Sembrano vie familiari. Sarà certamente per i viaggi antichi ma soprattutto per la  presenza di Cristofaro Colombo. Cristobar…
Qui Cristoforo è stato di “casa”. Non si tratta di una metafora. Ma la casa c’è veramente. Quel Cristoforo che amava Isabella. D’altronde la lingua che si parla è una calda parola spagnola. Non poteva essere diversamente. L’accoglienza è stata di una manifestazione d’affetto eccezionale.
L’Italia, ospite d’onore, ovvero la cultura italiana. Abbiamo parlato di lingua e linguaggi ed io soprattutto di letteratura italiana del Novecento: da Giovanni Verga a Giuseppe Prezzolini.
Verga è molto amato. Ma non è il Verga scolasticizzato. È quello che di “Tigre reale”, è quello degli amori perduto e perdenti. Così Prezzolini… Il Prezzolini di “Dio è un rischio” che pone interrogativi e non deposita alcuna risposta. Ma Santo Domingo è mare. È il mare del sogno. È la città dei casinò e non dei casini. È la città della festa.
La festa dei giorni. I giorni che si fanno festa.
Qui veramente la notte è una festa mobile che direbbe il caro Ernest. E la festa te la senti addosso per l’intera giornata come ti senti dentro la musica o come ti porti negli occhi le donne che danzano a suono di merengue o di salsa.
Che meraviglia quella ragazza con riccioli tra i capelli e una gonna da zingare che volteggiava su un tappeto di bicchieri al ritmo di una passionalità inebriante. Meraviglioso e meraviglioso il sorriso della gente pur in una non ricchezza mai ostentata.
Belli gli occhi di quella donna che ti tirava nel gioco del ballo e dovevi ballare perché tutto è  parte del gioco delle notti di quella città. Con le luci che sono riflessi.
E la cultura italiana? Sì, che giornate intese al Salone del Libro. Una conferenza dietro l’altra e con studenti che vogliono sapere e chiedono, interrogano e non smettono di offrire poesia. Amano la poesia. Soprattutto la poesia d’amore.
Accanto a Lorca, a Neruda, a Cervantes, a Becher e a quelli propri della loro terra non ci sono soltanto Dante e Petrarca ma Collodi, Pirandello e addirittura Isabella Morra. Che ci fa Isabella Morra a Santo Domingo? Anche negli alberghi è sempre festa.
Una studentessa giovane mi ha chiesto: “Come si fa a diventare poeta?”. Abbiamo letto anche le poesie di Giovanni Paolo II ed io ho tenuto conferenza “particolare” sulla funzione poetica del verso woitiliano con una riflessione sulle immagini della Cappella Sistina scattate nelle parole che non solo recitano ma anche raccontano.
Ed è una festa nel Corso centrale di Santo Domingo. Il caldo e l’estate non conoscono pause. Le piazze sono indefinibili. Le piazze restano dentro l’anima nel canto che ha gocce di rugiada.
La piazza con Cristoforo Colombo si apre ai negozi di corallo e ai mercatini dove il sigaro dominicano sfida quello cubano. Nell’aria si respira tabacco e odori di frutta. Esotica. Nei ristoranti le fettine di banana fritta o arrostita ha un sapore dolciastro e piacevole ma noi abbiamo cercato spesso ristoranti con cucina italiana.
Che provinciali…  E’ un paese cattolico. Non ci sono dubbi tanto che ricordano con amore l’opera e la figura di Giovanni Paolo II. D’altronde il primo viaggio all’estero che fece il Pontefice fu proprio Santo Domingo e ci sono le testimonianze, i segni, i simboli.
I domenicani sono orgogliosi di quel Papa e nella principale ancora campeggiano le scritte che rimandano al passaggio di Giovanni Paolo II. Ho tanti ricordi dei giorni trascorsi in quella terra che mi ha molto colpito e mi ha lasciato dei tracciati indelebili.
Il giorno prima della partenza, in una casa nobiliare, anzi in una villa elegantissima, si svolge un ricevimento in nostro onore. Ambasciatori, consoli, istituzioni. Una serata dove la musica era diventata assordante. Ad un certo punto della nottata irrompono una quindicina di ballerine vestite tutte di piume colorate e con delle maschere che rimandavano a delle divinità.
Che spettacolo… Fummo completamente presi alla sprovvista. Ci chiesero di recitare dei versi di un poeta italiano. Dovevamo improvvisare. Ognuno di noi si improvvisò attore ricordando e declamando poesia. Io subito ripescai alcune versi di una poesia di Cardarelli.
Furono delle scene indimenticabili. Ogni ballerina – danzante si avvicinò agli attori improvvisati. Si tolse la maschera e con un sottile filo di corda la pose sul nostro viso legandola dietro la testa. Le ballerine – danzanti rimasero senza più maschera mentre noi eravamo diventati delle divinità. Fu un gioco affascinante e fummo tirati al centro della villa con il battito di una musica e di un canto latino – americano. Che strazio di gioia e di emozione. L’emozione continua ancora oggi soltanto a pensarci.
La notte finì e ci colse il giorno. Non capimmo più nulla. Dovevamo ripartire per l’Europa, per l’Italia. Ci attendeva un fuso orario di sei ore. Arrivai a Parigi completamente stravolto.
Quanta cultura italiana nella Repubblica di Santo Domingo, in quell’isola dominicana dove le parole di Cristofaro Colombo e della cultura genovese e genovese – spagnola resta un nucleo importante. Non mi sono meravigliato poi tanto quanto tra i ritmi e le note delle canzoni cantate dai giovani al Salone del Libro c’erano anche i testi di Fabrizio De André. Genovese, mediterraneo, Alvaro Mutis…
C’è stata una promessa strappata all’ultimo momento: quella di ritornare a Santo Domingo per un seminario proprio sui testi di Fabrizio De André. Certo che lo farò.

La musica è poesia e la poesia si fa musica. Mi sono ritrovato nella valigia anelli di corallo e collane. Non solo un corallo rosso, rosa o verde ma un corallo splendente nero. Un corallo che cambia colore con la luce della luna e con i riflessi del mare. E poi la danza è un ritmo che non ha spazio e neppure tempo perché continua nel volteggiare del vento tra gli echi e le nostalgie.
La poesia non è fatta solo di parole ma anche di sguardi. Così mi ha detto un ragazzo che con attenzione ha seguito una delle mie conferenze. È proprio vero. Guardandolo negli occhi gli ho recitato: “Io l’ho veduta già vestita a verde,/sì fatta ch’ella avrebbe messo in petra/l’amor ch’io porto pur a la sua ombra:/ond’io l’ho chesta in un bel prato d’erba,/innamorata com’anco fu la donna,/e chiuso intorno d’altissimi colli”.
Dante. Il Dante che da noi viene giudicato minore. Il Dante che non è metafisico ma si gioca l’anima tra gli spigoli delle Rime. Mi ha guardato in silenzio e mi ha chiesto: “pur favur me regala cheste parole?”. Con la dolcezza e con gli occhi grandi.
Ho capito in quel momento come la universalità della poesia non conosce frontiere o confini e va verso orizzonti. Che bel viaggio! Un viaggio interminabile tra le parole di Giovanni Paolo II che insistono tra i miei ricordi e l’amore in Rime di Dante.
L’amore che si fa fede e la fede che è carità. L’amore degli incontri nelle sere di Santo Domingo. Ho puntato al casinò. Ma non ho vinto.
La poesia è nell’amore e l’amore ha gli occhi della nostalgia. Santo Domingo resta una festa tra i libri raccontati e i libri proposti. Ernest avrebbe parlato di “fiesta mobile”. I miei viaggi non smettono. Sono scavo di vita e restano incisi di memoria. E oltre... Il mare è un orizzonte e la ragazza era un giro di vento a piedi nudi su un tappeto di bicchieri nel suono e nel canto di una Spagna che si taglia tra le parole: “…corales en sus pechos y los ojos del viento mar/la chica estaba bailando alrededor en el círculo en los labios y el rojo de la puesta del sol/y sus manos un juego entre los matices de la luna/todos los silencios tenían el ojo ...”. E così ho cercato di raccontare con le parole della letteratura una immensa storia e un indefinibile destino che è stata l’Italia.



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