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sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

mercoledì 23 settembre 2015

La Magna Grecia nella Taranto di Giacinto Spagnoletti a 95 anni dalla nascita

di Marilena Cavallo

Marilena Cavallo e Giacinto Spagnoletti
C’è una Magna Grecia profonda nella ricerca letteraria di Giacinto Spagnoletti. È quella che va da Raffaele Carrieri ad Alda Merini della religiosità “panica” della Taranto cara a Michele Pierri. In realtà il filo del romanzo, mai descrittivo, e sempre calato all’interno di una psicologia dell’anima, le venature poetiche di una nostalgia, che non lo ha mai allontanato dalla sua Taranto e dai luoghi della Magna Grecia, e la critica letteraria, costantemente legata alla ricerca dell’interiorità degli scrittori e dei poeti, l’opera di Giacinto Spagnoletti (Taranto 1920 – Roma 2003) costituisce un punto di sicuro riferimento per comprendere un Novecento letterario nella visuale mediterranea, che continua ad occupare gran parte dello scenario dei nostri giorni.
In che modo si è accostato alla storia della letteratura una personalità come Spagnoletti? Il suo incontro con gli autori italiani e francesi, soprattutto, è partito non dall’analisi storica o critica ma da un legame che lo ha condotto ad esplorare il linguaggio del Novecento come mosaico articolato di una sempre crescente creatività, fantasia e poetica della metafora. Da scrittore e poeta si è avvicinato alla storia della letteratura.

 Credo che questo sia stato un merito e un pregio soprattutto se si pensa già ai suoi primi studi e al suo lavoro dedicato a Renato Serra. Su Serra ha lavorato molto tanto che ha sviluppato la sua tesi di laurea alla cattedra di Natalino Sapegno. Ma Spagnoletti è stato sempre lontano da incastellature ideologiche tanto che il suo ruolo, parallelo quasi a quello cattedratico, è stato caratterizzato dal suo considerarsi ed essere un critico militante.
D’altronde Spagnoletti nasce culturalmente come scrittore di una pagina in cui la psicologia della scrittura si incontra con la prosa d’arte. I suoi autori amati sono stati Renato Serra, appunto, e poi scrittori come Italo Svevo, Pierpaolo Pasolini, Sandro Penna passando attraverso Baudelaire e il suo “splen” e il futurista Aldo Palazzeschi mai dimenticando le grandi lezioni di Giacomo Debenedetti e Angelo Maria Ribellino.
Proprio grazie alle lezioni di Debenedetti (sempre l’avventura e il personaggio senza la prevalenza della rappresentazione del reale e dello storicismo) ha potuto esprimersi con una prosa incisiva nei suoi tasselli lirici con 'Tenerezza' (1946), 'Le orecchie del diavolo' (1954), 'Il fiato materno' (1971), e il fortemente lirico e nostalgico  'A mio padre, destate' (1953), 'Poesie raccolte' (1990).
Da Verlaine a Danilo Dolci Spagnoletti ha indicato alcune strade da percorrere per tentare di entrare in un Novecento poetico abbastanza ampio e mai omogeneo. Intorno a questi autori si è soffermato sulla prevalenza della grecità e ionicità in autori come Raffaele Carrieri o come Michele Pierri in cui l’universalismo lirico ha permesso di portarlo nel di dentro di una contestualizzazione europea delle poetiche del Novecento sino a proporre una chiave di lettura di Alda Merini. Ma in Spagnoletti non c’è mai una caduta nella provincialità o provincialismo o nel tentativo di difesa dei poeti delle radici o matrici sommerse.
I suoi scritti su Raffaele Carrieri hanno una visione articolata e ci propongono una lettura tout court della poesia del Novecento che, necessariamente, deve potersi confrontare con le poetiche europee. Il Carrieri dei viaggi, il Carrieri della contaminazione artistica, il Pierri della “religiosità pavesiana”, il Pierri contemplante, il Lorenzo Calogero della corda del misterioso e il recupero del dialetto come lingua della poesia tra Sud e Nord sono incisi indelebili.
I suoi studi ultimi, quelli dedicati alla poesia e al dialetto della poesia, offrono una visione importante e ad intreccio tra la cultura italiana quella mitteleuropea e quella direttamente recitata da Verlaine. Spagnoletti, comunque, non ha mai cessato di essere l’allievo di Renato Serra.
Infatti i suoi scritti richiamano spesso la grande visione di un Serra che ha raccontato la funzione dello scrittore e della letteratura in un “esercizio” umano che è quell’esame costante della “coscienza del letterato”.
Spagnoletti ha inserito il suo mestiere di scrittore e di storico del Novecento poetico italiano nella coscienza del letterato. Forse sarebbe auspicabile una meditazione sul legame che Spagnoletti ha avuto con gli scritti di Renato Serra.
Un legame che lo ha accompagnato sino ad inserirlo nella modernità linguistica di Raffaele Carrieri. Un Carrieri che porta il mare di Taranto nel suo viaggiare, nel suo migrare, nelle sue isole sino a toccare una Versilia che ha i colori e gli sfondi di un infinito chiaroscuro.

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