BENVENUTI

sul blog del Caffè Letterario La Luna e il Drago

martedì 29 settembre 2015

Nell’identità della lingua l’invisibile della presenza e dell’assenza: Pirandello nel gioco delle maschere

di Pierfranco Bruni

Alla ricerca del personaggio perduto. Una sottolineatura che Luigi Pirandello avrebbe inserito in quei personaggi che, per resistere al gioco del tempo, devono percorrere la strada della ricerca dell’autore. Il personaggio, il più delle volte, anche quando resta in silenzio, ha quotidianamente bisogno della parola. Ovvero della lingua. Ovvero dei linguaggi che sono un intreccio di archetipi e di tradizioni in un logos antropologico.
La lingua di Pirandello dialoga con le radici delle sue appartenenze (quindi con le sue città in una Sicilia profondamente e archeologicamente mediterranea) e con un vocabolario fatto di apparenze, ma che, in sostanza non ha apparenza bensì ha il riflesso della società nello specchio del suo sguardo. Uno sguardo che diventa coscienza.
Dialoga, così, ancor di più con la letteratura. Con quella letteratura che ha una base fortemente greco – romana e prima ancora araba, ma tocca anche derivazioni che partono da Dante, Ariosto, Machiavelli, Tasso.

Tra Dante e Machiavelli, Pirandello individua il suo percorso che vive di “vuote favole”, come egli stesso afferma, per intrecciarsi in una estetica che ha connotazioni antropologiche. 
Legge in Machiavelli il connubio tra la difficoltà della società ad apprendere un linguaggio che abbia una sua valenza letteraria, ma è proprio in Machiavelli che rintraccia il superamento dell’ironia in favore del mero umorismo nella sua teatralità quotidiana.
Legge in Dante la Intuizione che non è solo l’interpretazione del vortice delle cantiche, ma è nella trasparenza del risvolto della “nova vita” che diventa, tale Intuizione, un rinascimento di un uomo che vive tra apparenza e realtà.
Non cerca la verità. Il così è,  se vi pare è proprio il retro cavo dello specchio e non conosce la possibilità di poter dialogare per raggiungere una probabile verità. Accetta la realtà sommaria, infilandola nel dubbio dell’apparenza.
Forse è qui il ricercare una lingua che sia e resti lingua nazionale, attraversandola grazie agli strumenti di una cultura letteraria. Per cultura letteraria, Pirandello si lascia alle spalle la formazione umanista per un risorgimento dell’antichità classica, si deve intendere il rapporto tra ciò che la lingua mostra e ciò che si sente e si esprime con il linguaggio.
Proprio per questo, Pirandello, non perde mai il contatto con quella lingua che giunge a Dante e la rivoluziona  nei codici della letteratura. Il “traghettare” linguistico di Dante, nel quale Pirandello si identifica come interprete di un Otto – Novecento che ha bisogno di non dimenticare la classicità ma ha pure la necessità di creare una parola moderna che possa avere uno stile e una eleganza, diventa così il centralismo della parola dialogante.
Giunge a Pirandello con la teatralità di Machiavelli e, soprattutto, con la follia di Ariosto e con la profezia di Tasso. Ma la sua versione rivoluzionaria è nell’umorismo che applica ai concetti di vita e di morte. Il suo Mal giocondo è proprio un gioco nell’ironia e si avvale, già nella poesia, della consegna della maschera al lettore.
Quella maschera, “or compunta” e “or gioviale” (di chiaro richiamo dannunziano), si indossa per apparire come altro, ma l’altro è già una apparenza che ferisce il tempo in virtù di una memoria che ha la follia della recita ariostesca.
Definendolo come personaggio moderno, Pirandello si impossessa della lingua ed è la lingua che diventa teatro, è la lingua che manifesta i personaggi, è la lingua che rende Mattia Pascal presente e invisibile o visibile e assente. Ma tutto ciò rientra nella identificazione del personaggio perduto?
Il personaggio è lingua perché è anche una eredità di parole, ma si scontra e si conta con il tempo. Siamo nel passaggio in cui la lingua resta identità nazionale, in una cultura che, per vivere la “sua” società, ha bisogno, naturalmente, di farsi lingua letteraria. Pirandello fa di tutto questo un archetipo. Un archetipo estetico, piuttosto che un archetipo morale.
Il suo teatro, che nasce dentro la poesia, è l’estetica del visibile nell’invisibile dell’incontro tra l’assenza e la presenza. Nell’identità della lingua l’invisibile della presenza e dell’assenza permette alla maschera pirandelliana di diventare gioco. Forse un “mal giocondo” in mal giocando.

Nessun commento:

Posta un commento