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martedì 15 dicembre 2015

L’ulissismo nel viaggio di Ungaretti è la ricerca di una Patria nel Porto della memoria

di Pierfranco Bruni

L’ulissismo panico tra Omero e Ungaretti è dato dall’espressione metafisica delle contrapposizioni. Il viaggio e il porto. Il viaggio verso la terra promessa nell’attraversamento del deserto o del navigare il naufragare tra i mari del desiderabile possibile. Cosa è in Ungaretti?  Il quale vive l’ulissismo come mediterranea attesa, ma anche come annuncio metaforico di un Enea che presto dimenticherà Troia per sostituirsi ad un Ulisse, che strappa le vele al destino per ricucirle nella profezia…
 
Il desiderabile possibile è il porto che non si accontenta di un semplice ancoraggio di navi o zattere che dalla deriva si legano agli anelli del porto. Ha bisogno della memoria. La memoria è il sepolto che è diventato/a segreto o mistero nell’immaginario della memoria.
Il porto è il reale geografico – metafisico, e il sepolto è il tempo slegato dalla metafisica. Le sue radici non hanno il culto o i culti dell’Occidente. Ungaretti è l’amico di Moammed Sceab, l’arabo che nella tenda lascia filtrare gli ascolti del Corano come se fossero una “cantilena”.
Mediterraneo francese che ha tutto del nomade con discendenze di emiri e nulla di francese pur amando quella terra e quelle parole, intorno alle quali lo stesso Ungaretti ha costruito il suo linguaggio.
Ungaretti – Ulisse e Ungaretti – Omero che fa degli archetipi il senso centrale della sua allegoria che non ha naufragi simbolici, ma i simboli usano la visione del naufragio per creare l’incontro tra vita e morte.
Ma la sua è una vita di morte nel vivere, ovvero la morte si sconta sempre vivendo, e si può morire anche senza aver scontato la vita. Ulisse omerico, in fondo, è la resa al viaggio. È  di questo che bisogna tener intenzione e mettere a tenzone il verso con la giostra della vita.

C’è il naufragio ma c’è l’abisso. C’è il viaggio e c’è il porto sepolto. Non sono delle contrapposizioni che conducono ad un labirinto nicciano? La resa omerica al viaggio dell’ulissismo è il ritorno alle radici. Per Ungaretti quali sono realmente le radici? Un tempo d’Africa, una malinconia tra la sabbia e l’acqua del Mediterraneo o il suo Isonzo e i suoi fiumi?
Per Ulisse Itaca è realmente il porto e se realmente resta il porto cosa è il tempo della memoria? È il sepolto. Per Ulisse ritrovando Itaca depone la memoria del viaggio nel sepolto. Ungaretti, Uomo che ricompone il tutto nella Vita di un Uomo, troverà mai la sua Itaca? No, non ci sarà. Accanto al porto insiste il concetto, tutto metafisico potrei dire, di sepolto. E cosa è insepolto nella vita di un uomo? L’esistenza del quotidiano nel momento in cui l’esistenza è quotidiana.
Perché si serve di Leopardi e non di Dante? Credo che l’archetipo del pensiero ungarettiano  sia proprio nel desiderio di non accettare un destino, ma di lasciarsi vivere dal destino. Leopardi va verso Omero. Dante va verso l’infinitudine del viaggio oltre le stelle…
Il personaggio di Moammed Sceab resta fondamentale. Resta fondamentale la perdita della patria. E per mancanza di una patria si uccide. Il suicidio è, sostanzialmente, una mancanza di eredità, di radici, di riferimenti di appartenenza. Ulisse, nonostante tutto, la sua eredità la centralizza prima nel viaggio indesiderato – desiderato e poi nel ritorno come superamento della distanza e chiusura con l’attesa.
Ulisse chiude l’attesa nel ritorno che è il ritrovarsi. Ungaretti si depone, ed è qui la magnificenza della sua poesia e l’originalità, in “io solo/so ancora/che visse”.
Perché il poeta arriva al porto – sepolto? Perché resta marcatamente un segreto. Non solo un segreto che si stringe nel mistero. Ma un segreto inesauribile in quanto solo la “morte in balia del viaggio” resta.
L’incastro di una poetica del viaggio e del porto è incorniciato proprio nel versi del 1916. La sua poesia è incastonata in questo suo dire a Giovanni Papini: “Papini, tutta stanotte ti sono stato accanto. Sto lavorando una poesia: ‘Il porto sepolto’ che mi nascerà tra un secolo; e forse poi bisognerà buttarla via. Ma forse domani la smarrirò nel mio labirinto, e siccome sono pigro, la lascerò perdere” (da una lettera a Papini del 29 giugno 1916, scritta a Mariano).
Certo dietro a questo titolo, recitativo in un verso e labirintico in tre versi, come Il/porto/sepolto, vive la “fotografia di un porto, che ha una memoria indelebile anche se scalfibile, che si potrebbe definire “sommerso” o irraggiungibile se non con la memoria del luogo e il mito dello specchio dell’anima.
È  qui che le radici si fanno eredità. Alessandria d’Egitto è il suo abitare l’anima nel luogo del viaggio metafisico e che è stato, però, geo-esistenziale.
Scriverà in una sua nota a “L’Allegria”: “Quella mia città si consuma e s’annienta d’attimo in attimo. Come faremo a sapere delle sue origini se non persiste più nulla nemmeno di quanto è successo un attimo fa? Non se ne sa nulla, non ne rimane altro segno che quel porto custodito in fondo al mare, unico documento tramandatoci d’ogni era d’Alessandria. Il titolo del mio primo libro deriva da quel porto ‘Il porto sepolto’”.
Comunque il vero mistero del porto – sepolto (non in termini semantici bensì ancora metafisici) è un vero segreto, ovvero ci dice Ungaretti stesso: “è ciò che di segreto rimane in noi indecifrabile”.
Allora. Omero si inventa il suo Ulisse e gli regala l’irresistibile viaggio e l’inesorabile ritorno, perché si viaggia per ritornare o meglio si parte per viaggiare e si viaggia per ritornare.
Virgilio si inventa il suo Enea, è anche lui ha per regalo il viaggio ma non il ritorno e resta con le sue radici sulle spalle e tra le mani le profezie per un approdo. Già, Enea ha, comunque, un approdo.
Il porto sepolto cosa ha? La parola che diventa abisso, uno straziato paese, un bacio di marmo e quel segreto che è inesauribile perché è nulla o forse quel nulla, che si considera tale, vive di segreti che non smettono di esistere e insistere nel sublime del nascondimento.
Così in Ulisse. Il suo sepolto, ovvero la sua memoria, non è forse un intrecciare le dita del mistero nel segreto che ha nome nostalgia? Ma il segreto è l’antica terra dei Mediterranei sommersi che custodiscono porti per dare un orizzonti alle memorie che ci seguiranno lungo le rotte degli incontri inconoscibili.
Sempre a Papini nel luglio del 1916 inviandogli la poesia “Il porto sepolto” Ungaretti sottolineava: “Carissimo Papini, ti ho mandato ieri delle cose che mi sono scoppiate dal cuore, in quest’atmosfera… un momento, e poi silenzio”.
Certo. Fu così che quell’inesauribile divenne un momento e il silenzio custodì il resto. L’ulissismo in Ungaretti è la ricerca di un porto. Una Patria nascosta nel cuore del viaggio e nel racconto di una eredità che è centro dell’essere e mai periferia. Questa religiosità è il preludio di una promessa vissuta nella vita. Perché il porto custodisce la memoria.

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