Di Marilena
Cavallo
Perché
studiare ancora oggi Gabriele D’Annunzio?
Per
entrare nei “giardini” della sua poesia, attingere al suo “novo canto” e
giungere alla panica percezione dell’Uno che incontra il Tutto della Natura,
per scrutare i silenzi del suo Notturno,
sino a libro più segreto della sua vita.
E’
come se entrassimo in punta di piedi nell’Officina del Vittoriale, casa-museo e
rifugio del Poeta, e fossimo accolti da versi che abitano silenti il mondo
poetico, caro al fabbro-Vate; come se potessimo ascoltare gli oggetti a lui
cari parlare di quel febbrile lavoro di cui questo sacro sito poetico resta
singolare testimone.
Il
materiale incandescente della sua poesia del Vate resta per noi incorniciato
dall’architrave, su cui come un monito campeggia il verso di Virgilio “Hoc opus
hic labor est”.
Tanti
risultano essere i motivi, ancora validi, per incontrare Gabriele D’Annunzio,
il poeta – scrittore, che ha maggiormente contaminato i linguaggi di una
letteratura ancorata, tra fine Ottocento e i primi anni del 1900, ad una
visione tardo romantica, la cui visione estetica ha avuto in Benedetto Croce un interlocutore non
facile.
Entrambi
sono stati degli innovatori.
Entrambi
si sono confrontati con un secolo di svolta: il Novecento.
D’Annunzio
comprese immediatamente che allo scrittore occorreva un nuovo metodo di
confronto con i lettori, attraverso un
approccio tematico-problematico, immediatamente comunicativo.