Leggendo
i documenti certi la storia sulla Inquisizione va riscritta:
lo ha dichiarato Pierfranco
Bruni in occasione del
CONVEGNO
INTERNAZIONALE su INQUISIZIONE ROMANA - MEMORIA FIDEI IV
“Non ci può più affidare alle
leggende e alle ‘storielle’ tramandate da una cattiva filmografia sulla
Inquisizione. Molti film, a cominciare da ‘Il nome della rosa’, fanno
spettacolo e non dicono la verità storica sul racconto di fatti come la stregoneria,
l’eresia, la magia”.
È ciò che ha affermato Pierfranco Bruni relatore
al Convegno Internazionale su L’INQUISIZIONE ROMANA E I SUOI ARCHIVI, in corso
di svolgimento a Roma sino al 17 maggio prossimo presso la BIBLIOTECA DEL
SENATO DELLA REPUBBLICA, in Piazza della Minerva, 3.
Infatti in occasione dei 20 anni dall’apertura
dell’archivio storico della Congregazione per la Dottrina della Fede
(ACDF) è stato indetto a Roma il Convegno L’INQUISIZIONE ROMANA E I SUOI
ARCHIVI, che si terrà a partire dal 15 fino al 17 maggio 2018 presso la BIBLIOTECA DEL
SENATO DELLA REPUBBLICA, in Piazza della Minerva, 3.
Il Convegno
è organizzato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, dal SENATO DELLA REPUBBLICA
- CAMERA DEI DEPUTATI - CONGREGATIONIS PRO DOCTRINA FIDEI - MUSEO CENTRALE DEL
RISORGIMENTO.
Pierfranco Bruni (poeta, scrittore, saggista,
direttore MIBACT) relazionerà in merito all’INQUISIZIONE ROMANA NELLA
FILMOGRAFIA, TRA CRITICA E SPETTACOLO ponendo l’interessante quesito se la
storia dell’Inquisizione nella filmografia cinematografica sia più
spettacolarizzazione che critica storica, filmografia che ha comunque sempre dovuto fare
i conti con una letteratura che si incunea nei processi storici.
“Proprio partendo dalla
storia raccontata, ha
sottolineato Pierfranco Bruni, nello
spettacolo bisogna compiere un lavoro verso una nuova evangelizzazione e
monsignor Cifres sta lavorano benissimo in questa direzione. Il cinema deve
essere spettacolo che racconta la storia vera quando si tratta di argomenti di
questa portata”.
Nell’ottica di un cinema che
si serve di un immaginario per divenire spettacolo, molti registi hanno
affrontato il tema dell’Inquisizione cercando di attenersi alla fonte
letteraria o cercando di restituirne una personale interpretazione. È il caso
de “Il nome della rosa”, del 1986,
in cui il regista Jean-Jacques Annaud rende più agevoli
le riflessioni teologico-filosofiche che contraddistinguono la fonte
letteraria, oltre ad apportare nuovi aspetti del tutto soggettivi come la tragica
fine destinata al crudele inquisitore Bernardo Gui.
La
relazione di Pierfranco Bruni effettua una interessante comparazione della
rappresentazione cinematografica relativa alle varie fasi dell’Inquisizione
(medievale, spagnola, romana).
Nei
film in cui viene rappresentata l’Inquisizione medievale si tende a enfatizzare
la religiosità nei suoi aspetti di sacrilegio ed eresia. Una Chiesa più
intransigente nella lotta contro le eresie, che si avvale delle torture come
strumento di verità ed espiazione dei peccati, è quella che emerge invece dalla
filmografia avente per protagonista l’Inquisizione spagnola. Aspetto che si
evidenzia in molti film tra cui “Il pozzo e il pendolo” di Roger Corman (1961) nel quale l’Inquisizione appare come un
fantasma che dal passato riporta le sue atrocità. Qui la spettacolarizzazione
della tortura non è tanto dovuta ad invenzione cinematografica, quanto al
desiderio di voler trasporre in immagini le suggestioni create dal racconto di
Edgar Allan Poe.
Il
pensiero dell’uomo nell’ambito di una visione filosofica, metafisica e
scientifica, è l’aspetto che si impone nelle pellicole cinematografiche in cui
ad agire è l’Inquisizione romana. Contributi dai quali emerge il ritratto di un
periodo storico in cui i difensori del pensiero libero, i cosiddetti “liberi
pensatori”, in grado di guardare oltre per un bene comune, furono fortemente
osteggiati dalla Chiesa, e dal suo organo inquisitorio, in quanto temuti. Il
timore era che le loro menti illuminate, e indipendenti da qualsiasi potere,
potessero contagiare le coscienze buie e soggiogate. Come avviene nel film di
Giuliano Montaldo “Giordano Bruno” del 1973 in cui la teologia vuole prendere il
sopravvento sulla filosofia.
“Gli
inquisitori romani, ha chiosato Pierfranco Bruni, vengono mostrati come
manipolatori degli scritti del filosofo nolano al fine di “sopprimerne” il
libero pensiero. Una verità a metà. Una storia da riscrivere e smetterla di
affidarsi allo spettacolo cinematografico”
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